Nelle ultime settimane abbiamo parlato di equo compenso (qui l’articolo completo), la tassa voluta dalla SIAE da applicare a tutti i dispositivi che permettono di riprodurre musica, con l’obiettivo di compensare gli autori dei brani musicali. Gino Paoli, presidente della SIAE, ha detto la sua in merito.
“Questa tassa dev’essere pagata da chi produce gli smartphone, e non dagli utenti che ne beneficiano” è il sunto delle parole del cantautore italiano. “La definizione è importante: questa situazione è complicata perché ci sono troppi equivoci. Di sicuro non si tratta di una tassa sugli smartphone. E poi che cosa vuol dire copia privata? Non l’ho capito. Qui si parla di compenso dell’autore. Gli equivoci sono nati per la propaganda delle multinazionali”.
Questo compenso attualmente è già esistente ed ammonta a 0,90€ per gli smartphone, 1,90€ per i computer mentre ancora nulla per i tablet. Con la modifica proposta dalla SIAE, questo compenso raggiungerà la cifra di 5,20€+IVA sia per smartphone che per tablet e 6,00€+IVA per i computer.
“Si tratta di fissare la tariffa” prosegue Paoli “In Italia il prelievo è pari allo 0,12% contro il 5,12% della Germania. Eppure smartphone e tablet da noi costano in certi casi anche di più. La battaglia di Confindustria Digitale punta a proteggere le multinazionali, che spesso non pagano nemmeno tutte le tasse in Italia e che di certo non producono qui. Mentre la Siae rappresenta un milione e mezzo di lavoratori, che paga le tasse in questo Paese. Dobbiamo ricordarci che l’industria culturale vale il 5% del nostro Pil. Quello che chiediamo non è una tassa. Quando prendiamo un taxi paghiamo la corsa e lo consideriamo il compenso per il servizio ricevuto, non una tassa”.
In poche parole, secondo Gino Paoli si deve pagare obbligatoriamente questa tassa soltanto per il semplice fatto che tali dispositivi sono in grado di riprodurre musica, anche nell’ipotetico caso in cui l’iPhone (o qualsiasi altro smartphone o tablet) non venga comunque utilizzato per tale scopo: tutto questo, per proteggere e compensare adeguatamente gli artisti.
La domanda ora sorge spontanea: ma acquistando un brano su iTunes, non stiamo già forse pagando i diritti d’autore tanto acclamati dal cantautore?
Via | Corriere
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