Dalle stelle alle stalle. Potremmo riassumere così i primi 5 giorni di contrattazione delle azioni del colosso di Mark Zuckerberg. 38 dollari ad azione per 104 miliardi di capitalizzazione totale. Così si presentava la compagnia agli investitori. Oggi il titolo perde ancora (-3.81%) e attualmente le azioni quotano 31.77 dollari.
Sono già 17 i miliardi letteralmente bruciati in borsa da Facebook in soli 5 giorni di contrattazione. E già crescono gli interrogativi sull’operazione che per altro, è bene sottolinearlo, non erano certo mancati alla vigilia.
Questa la storia di un’avventura probabilmente nata male.
Ore 17 italiane di Venerdì 18 Maggio. Le contrattazioni partono in ritardo di un’ora a causa di un problema al Nasdaq. Per questo stallo informatico il Nasdaq rischia di pagare danni a investitori che hanno fatto causa al listino hi-tech degli Stati Uniti. Le contrattazioni partono e il titolo sembra partire con la marcia giusta arrivando a guadagnare oltre il 10%. La seduta poi non decolla e il titolo ripiega fino a raggiungere sostanzialmente il prezzo dell’offerta iniziale. L’ipo più importante degli ultimi anni della storia di Wall Street è già una grossa delusione.
Cos’è successo? Succede che un analista della Morgan Stanley (particolare non di poco conto visto che l’istituto ha curato tutta l’operazione) a poche ore dal collocamento, rivede al ribasso gli utili della società. Negli stessi istanti la banca aumentava la forchetta e decideva di portare il valore del titolo a ben 38 dollari. Le autorità stanno indagando se la comunicazione dell’analista sia stata effettuata in pubblico o solo a un gruppo riservato di investitori. Basterebbe questo per cominciare a definire quest’operazione quantomeno poco chiara. La stessa banca, intanto, ha deciso di rimborsare gli azionisti che hanno acquistato il titolo sopra il tetto dei 43 dollari ad azione ed è già pronta una class action di piccoli risparmiatori nei confronti di Facebook per aver omesso della documentazione importane alla vigilia della quotazione.
E non finisce qui. Il torbido di quest’operazione lo tira fuori l’autorevole Wall Street Journal che, analizzando l’andamento delle vendite allo scoperto sul titolo, ha scoperto un grosso conflitto di interessi tra le banche responsabili del collocamento. In parole povere, mentre Morgan Stanley cercava di “tirare su” la quotazione del titolo, Goldman Sachs e Jp Morgan (le altre due banche che hanno aiutato Morgan Stanley nel collocamento) avrebbero prestato azioni a fondi hedge, operazione necessaria per consentire le vendite allo scoperto (short selling) sul titolo. Detto in parole semplici? Beh mentre la prima banca cercava di aumentare il prezzo di collocamento queste ultime due di fatto “scommettevano” sulla cattiva performance del titolo stesso.
C’è quindi il sospetto che molte di queste grandi banche abbiano ceduto alle pressioni di questi fondi hedge. Quindi, se da un lato hanno partecipato al collocamento, aiutando a sostenere di fatto l’operazione, dall’altro hanno favorito i ribassisti.
A tutto questo aggiungiamo i molti dubbi della vigilia espressi anche da veri e propri “mostri sacri” di Wall Street sull’operazione. In fondo, in un momento di sfiducia dei mercati come questo, puntare a quotare un’azienda dal fatturato pari al miliardo di dollari (e utili per 700milioni) oltre i 100 miliardi di capitalizzazione sembrava, anche ai meno esperti, un’operazione davvero ad alto rischio.
Via | Ilsole24ore
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