A seguito di un’iniziativa intrapresa dalla Sec – l’authority che regolamenta la borsa valori americana – è stato richiesto alle società quotate di chiarire la propria posizione in merito ai benefici fiscali ottenuti dalle stesse, in USA e in altri paesi. Dall’indagine è emerso che, le società della Silicon Valley sono tra quelle che fanno un più massiccio ricorso ad operazioni di ingegneria finanziaria per evitare di pagare ingenti tasse.
Premessa
La notizia, pubblicata in Data 30 Gennaio dal Corriere, va comunque interpretata in modo corretto: non si tratta, infatti, di operazioni illegali, ma assolutamente legittime, che, grazie a diversi paradisi fiscali sparsi per il mondo e legislazioni meno pressanti dal punto di vista fiscale, permettono a multinazionali di vario tipo di sfruttare un erario meno impositivo; che tradotto in parole povere significa: meno tasse da pagare.
La notizia
Secondo l’edizione online del quotidiano spagnolo “El Paìs”, Google, Apple e Microsoft riescono, ogni anno, a risparmiare milioni di dollari di tasse attraverso una serie di operazioni – molto articolate e complesse – che sono finalizzate alla fatturazione in paesi, i cosiddetti paradisi fiscali, che si caratterizzano per un’imposizione tributaria particolarmente leggera.
Sebbene non si tratti di una pratica sconosciuta, gli importanti risultati ottenuti negli ultimi anni dai colossi della Internet Economy, hanno, comunque, attirato l’attenzione della carta stampata, e dei media in generale. In particolare è Google – ma anche Microsoft, Apple e Facebook seguono lo stesso approccio – l’azienda, che più delle altre, è balzata agli onori della cronaca. Il motivo è presto detto: sono 7,6, i miliardi di dollari risparmiati dal colosso delle ricerche online.
Il risultato è stato ottenuto attraverso uno schema – utilizzato in precedenza con ottimi risultati anche da Microsoft – in cui l’obiettivo ultimo è quello di fatturare in paesi con bassa imposizioni fiscale. Ed effettivamente è la stessa società di Bill Gates – che ha fatto sapere di essere pronta a destinare 750 milioni di dollari per iniziative filantropiche – ad aver riconosciuto pubblicamente che i ricavi vengono canalizzati in paesi, quali Porto Rico, Singapore e Irlanda. Prassi che Google sembra aver imparato alla perfezione, dal momento che il gruppo di Page e Brin, ha confermato che tutti i benefici fiscali sono stati ottenuti grazie alla controllata irlandese.
Come è possibile tutto ciò?
Il legislatore irlandese – al fine di incrementare gli investimenti esteri – permette di trasferire i benefici fiscali ottenuti da società estere. In questo modo, i proventi vengono trasferiti in paradisi fiscali per evitare che questi ultimi non pesino sui profitti. Tuttavia, tale pratica non rappresenta l’unico escamotage con il quale, ogni anno, i big dell’Hi-Tech risparmiano milioni di dollari di tasse. Infatti, molto spesso, come ci ricorda Savelli del Corriere “accade che queste società vendano le proprie licenze, la tecnologia, i diritti di proprietà intellettuale a paesi “lassisti” sul fronte del fisco“.
E così ad esempio, il motore di ricerca più famoso al mondo li destina ad una società delle Bermuda che, a sua volta, li ottiene dalla capogruppo irlandese, attraverso un veicolo societario olandese. E se per molti questo complesso meccanismo di triangolazioni possa non dire molto, agli occhi della SEC, invece, si traduce in un misero 3% – pagato da Google – sulle tasse sui benefici fiscali fuori dagli Stati Uniti. Ma anche Apple e Microsoft – che rispettivamente corrispondono il 2,5 e l’8% – dimostrano di avere una certa maestria con tali pratiche, mentre Facebook, che ha meno obblighi di trasparenza sui conti, sembra appoggiarsi a delle società con sede nelle isole Cayman per riproporre uno schema analogo a quanto descritto sopra.
Conclusioni
Abbiamo un obbligo nei confronti dei piccoli investitori. Quello di tenere una struttura fiscale efficiente
Sono queste le parole rilasciate, da un portavoce di Google, alla Sec a seguito dell’inchiesta, che, tuttavia, non sono bastate a placare la polemica attualmente in atto negli Stati Uniti. Il motivo è facile da comprendere, i soldi risparmiati con questi escamotage non vengono reinvestiti in patria e per tanto vi è un doppio svantaggio per l’erario americano.
La faccenda non è certamente di facile risoluzione. Da una parte vi sono gli interessi di multinazionali che, nonostante i comportamenti a volte al limite della scorrettezza, rappresentano comunque una fetta importante dell’economia mondiale e per tale status richiedono di essere tutelate. Dall’altro, vi sono le piccole e medie imprese – che non possono sfruttare questi meccanismi – e la collettività che potrebbero, in teoria, essere avvantaggiati da un maggiore contributo fiscale da parte di queste grandi aziende.
Tuttavia, è pur vero, che fino a quando esisteranno dei paesi con dei regimi fiscali così appetibili, sarà molto difficile per nazioni quali ad esempio, gli Stati Uniti – ma ci mettiamo anche il bel paese – riuscire a fare qualcosa per invertire la rotta.
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