Qualche giorno fa, dopo l’annuncio alla conferenza I/O di Google dei nouvi Chromebook, in un articolo Mike Elgan propone il suo punto di vista sul nuovo sistema operativo Google Chrome e sul cloud computing, bocciando in partenza questo tipo di soluzione. Le sue posizioni, sebbene interessanti, non sembrano del tutto inattaccabili, ma prima di vedere nella sostanza quali sono gli appunti che Elgan muove al nuovo OS di Mountain View e al cloud computing, vediamo brevemente cos’è Google Chrome.
Sostanzialmente si tratta di un sistema operativo totalmente basato sul cloud computing e con un’interfaccia molto semplice, che ricorda un browser poco più complesso. Google crede molto nella totale delocalizzazione di file e attività nella nuvola online e pensa quindi che un sistema operativo moderno debba sostanzialmente permettere solo di “navigare” i contenuti che ci interessano, mentre questi saranno fisicamente conservati in un sistema di server remoti. Le obiezioni di Elgan partono proprio da questo aspetto: sicurezza dei dati, possibilità di controllo della propria macchina da parte dell’utente e anche appetibilità dei Chromebook.
Secondo Elgan infatti spostare tutte le attività e i file sulla nuvola significa togliere il controllo della macchina all’utente, cosa che sarebbe esemplificata dalle procedure di aggiornamento. Google infatti sosterrebbe che con Chrome OS non ci sarà più bisogno di aggiornare i programmi e i driver, mentre il giornalista specifica più correttamente che l’operazione avverrebbe comunque, solo all’insaputa e senza l’assenso dell’utente. Inoltre, sempre secondo Elgan, visto che gli aggiornamenti saranno esclusivamente automatici, in caso si presenti un qualsiasi tipo di bug o malfunzionamento si sarebbe costretti a tenersi il problema finchè non venga risolto da un ulteriore aggiornamento e non sarebbe più possibile invece, come accade ora, disinstallare ad esempio l’ultima release di driver per tornare a una versione più vecchia e stabile.
La seconda obiezione riguarda invece la sicurezza dei dati online. Il giornalista non crede sia una buona idea infatti avere i propri dati conservati esclusivamente in remoto, perchè potrebbero sempre esserci dei problemi fuori dal controllo dell’utente, portando come esempio il black-out durato oltre 24 ore del servizio di blogging di Google. Inoltre, osserva Elgan, se a casa si ha un problema di connessione, si può comunque continuare a usare i propri file salvati localmente.
Infine emerge l’aspetto estetico: Elgan trova esteticamente poco appetibili i Chromebook e pensa che anche questo contribuirà alle basse vendite dei dispositivi. Il giornalista sostiene infatti che dall’avvento dell’iPad in poi la gente si è abituata a dispositivi che sono anche esteticamente gradevoli, visivamente belli e divertenti da usare, mentre i Chromebook non risponderebbero a tutte queste caratteristiche. Insomma secondo Elgan il cloud computing sarebbe attraente solo sulla carta ma alla prova dei fatti non si rivelerà abbastanza affidabile e i Chromebook non avranno sufficientemente appeal per sfondare sul mercato. Quest’ultima obiezione è del tutto soggettiva e quindi come tale non rappresenta un argomento rilevante anzi, sono numerosi gli utenti che disabilitano solitamente tutti i vari effetti “eye candy”, trovandoli fonte di distrazione e di poca produttività rispetto a un’interfaccia più essenziale e diretta.
Alla prima obiezione si potrebbe invece controbattere ricordando che sostanzialmente smartphone e tablet funzionano già così, ma questo non è stato finora un limite che ne abbia ostacolato la diffusione. Piuttosto ci si potrebbe interrogare sullo stile d’uso proposto da device di questo tipo, in quanto è più probabile che da soluzioni differenti ci si aspetti approcci diversi e che a un portatile si chieda qualcosa di più rispetto a uno smartphone o a un tablet. Anche riguardo la sicurezza dei dati online si potrebbe discutere a lungo. Effettivamente tutti i PC connessi a Internet sono comunque esposti a pericoli e tutti i computer rischiano rotture e malfunzionamenti, non c’è motivo dunque di pensare che la situazione attuale sia migliore di quella futura, visto che è molto più probabile che si rompa un hard disk commerciale piuttosto che un server perda tutti i dati.
Si potrebbe invece piuttosto parlare del livello di privacy che il cloud computing e, Google nello specifico, potrà garantire ai nostri dati, con la garanzia che essi non vengano utilizzati per tracciare ancor meglio il nostro profilo in vista di un advertising sempre più mirato (e invasivo). Esperienza d’uso e privacy sembrano quindi decisamente problemi più importanti di quelli sollevati da Elgan, pur concordando sul fatto che in futuro non si potrà pensare di avere tutti i dati esclusivamente in remoto, per mantenere sempre un certo grado di operatività in caso di malfunzionamento della connessione Internet.
E’ ancora presto per decretare il fallimento o il successo dei Chromebook, ma è giusto discutere dei problemi posti dal cloud computing, perchè un’opinione pubblica informata e critica è la miglior difesa contro gli abusi e aiuta anche a sviluppare le tecnologie nella direzione più giusta per il mercato.
Voi cosa ne pensate?
Via | ComputerWorld
Leggi o Aggiungi Commenti