Lo scorso Novembre, Apple e Google erano state sanzionate dall’Antitrust per violazione del Codice del Consumo.
A Google l’accusa di una carenza informativa nell’acquisizione di dati personali e profilazione dell’utente per fini commerciali, ad Apple invece l’accusa di pratiche aggressive legate all’acquisizione e all’utilizzo dei dati dei consumatori a fini commerciali.
Entrambe le aziende hanno presentato un ricorso e, ad un anno di distanza, arriva la sentenza definitiva del TAR, il quale ha ritenuto infondato il ricorso di Google mentre ha accettato quello di Apple.
Viene quindi confermata la sanzione di 10 milioni di euro per Google, ma viene annullata la sanzione, della stessa cifra, che era stata inflitta ad Apple.
Benché sia ragionevole ipotizzare che la profilazione del cliente possa essere utile ad Apple per migliorare la capacità “attrattiva” degli stores e, in ultima analisi, per accrescere il proprio fatturato, la condotta contestata non può ritenersi ingannevole perché è comunque necessaria una successiva scelta consapevole del consumatore che realizza un’operazione di acquisto all’interno dei negozi virtuali.
Il ricorso merita accoglimento anche in relazione alla seconda pratica commerciale sanzionata, qualificata come “aggressiva” e relativa alla pre-impostazione (cd. sistema “opt-out”) da parte di Apple del consenso alla cessione dei dati personali degli utenti a fini commerciali.
Alla stregua delle considerazioni in precedenza svolte, non risulta infatti corretta l’affermazione dell’Autorità secondo cui “la pre-attivazione in questione determina, già di per sé, il trasferimento e l’utilizzo dei dati da parte di Apple, una volta che questi vengano generati, senza la necessità a tal fine di ulteriori passaggi in cui l’utente possa confermare o modificare la scelta pre impostata.
Deve ribadirsi che attraverso la creazione dell’ID Apple e alla personalizzazione degli stores non viene effettuata una acquisizione a fini commerciali di dati, che presuppone il compimento da parte dell’utente di ulteriori attività. Mancano, pertanto, gli elementi per considerare la pratica commerciale ingannevole e aggressiva, non avendo portata decettiva e non essendo in grado di produrre un “indebito condizionamento” del consumatore.
Leggi o Aggiungi Commenti