Due amiche di 29 e 35 anni, abitano a meno di due chilometri nello stesso paese dell’hinterland bresciano. Entrambe hanno scaricato Immuni dal primo giorno di rilascio sugli store, avvenuto ad inizio giugno.
La prima risulta essere positiva al coronavirus, l’altra – stando a quanto registrato dall’app – non dovrebbe essere stata esposta al contagio: nessuna notifica sul suo smartphone.
“Ma è impossibile, siamo sicure di essere state in contatto più volte”.
Le due ragazze, non si sono viste dall’8 marzo al 18 maggio, rispettando le restrizioni imposte dal lockdown. Iniziata la Fase 2, sono tornate a fare la vita di prima. Aperitivi dopo il lavoro, camminate insieme, corsi in palestra, cene al ristorante. Per quasi tre mesi si sono frequentate tranquillamente, usando la mascherina e rispettando le distanze, più volte a settimana. Fino al 27 luglio, una delle due ragazze – che tre giorni prima aveva fatto il test sierologico di sua iniziativa “per pura curiosità” – ha scoperto di aver contratto il Coronavirus.
“Ho avuto la certezza di avere il Covid-19 dopo altri due giorni, quando mi hanno chiamata per dirmi che il mio tampone era positivo. Da subito mi sono isolata dalla mia famiglia, dal mio ragazzo e dagli amici e sono in attesa del doppio test di controllo, che farò nei prossimi giorni. Sono asintomatica e la carica virale nel mio corpo è molto bassa, secondo quanto mi hanno riferito i medici, ma questo non significa che io non sia contagiosa”.
Qualcosa però è andato storto:
“Consapevole dei tanti posti in cui sono stata, ho subito aggiornato il mio stato di salute su Immuni, inserendo il codice crittografato e anonimo che l’operatore di Ats mi ha fornito al telefono, come da protocollo.”
“Eppure la mia amica, che ha l’app e di sicuro mi è stata a meno di due metri per più di 15 minuti nelle ultime due settimane (come stabilito dal Ministero e riportato nelle Faq dell’app) non ha ricevuto alcuna allerta”.
Immuni si basa sulla tecnologia Bluetooth Low Energy. Ogni volta che due persone che hanno l’app entrano in contatto, dai loro dispositivi si genera un codice crittografato e non riconoscibile che incrocia quello dell’altro. L’app periodicamente scansiona i codici dei nuovi malati che volontariamente hanno aggiornato il loro stato di salute e, se tra questi c’è una persona incontrata di recente, arriva una notifica. O almeno dovrebbe arrivare.
Le due amiche, affermano di aver eseguito correttamente la procedura di segnalazione, eppure l’app non ha inviato alcuna notifica. Non contente, le due hanno fatto entrare in contatto i telefoni anche dopo il tampone: la prima, armata di guanti e sacchetto monouso, ha infilato il suo cellulare nella cassetta della posta dell’amica, che l’ha prelevato e tenuto vicino al suo per un’ora. Un test che hanno ripetuto per tre giorni. “Eppure, niente notifiche. Ora segnaleremo il caso agli sviluppatori, per capire cosa è successo e perché“.
Nel frattempo, Immuni è stata scaricata da 4,6 milioni di italiani un numero ancora troppo basso per rendere efficace l’app. A due mesi dal lancio dell’app di contact tracing italiana, gli ideatori lanciano l’appello:
“Il numero di download è insufficiente, per far sì che sia efficace devono usarla molte più persone”.
Secondo le stime fatte a fine maggio, quando la diffusione del virus era ancora molto preoccupante, per fare la differenza Immuni doveva essere attiva sui telefonini di almeno il 60% della popolazione. Una percentuale ben lontana dalla situazione attuale; siamo a quota 12,5% del target dell’applicazione.
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