Phil Schiller, ha difeso le politiche dell’App Store alla vigilia dell’udienza antitrust dove testimonierà Tim Cook.
L’obiettivo dell’indagine della commissoine congressuale bipartisan è scoprire se i giganti della tecnologia traggono vantaggio dalle loro dimensioni per procurarsi un vantaggio sleale rispetto alle aziende più piccole e se queste decisioni incidono sui consumatori. Nel caso di Apple, le preoccupazioni sono generalmente incentrate sul 30% che l’azienda trattiene dalle vendite dell’App Store, dai pagamenti e dagli abbonamenti in-app.
Schiller, ha riferito a Reuters che una delle idee di Apple alla base dell’App Store è quella di trattare tutti allo stesso modo:
“Una delle cose che ci è venuta in mente, è che tratteremo tutte le app nell’App Store allo stesso modo: un insieme di regole per tutti, nessuna offerta speciale, nessun termine speciale, nessun codice speciale. Tutte le regole sono uguali per tutti gli sviluppatori, senza alcune eccezione.
Schiller ha aggiunto che quando l’App Store è stato lanciato nel 2008 con 500 app, la società ha utilizzato un approccio diverso rispetto a quello utilizzato per la distribuzione di software per pc:
“Nessuno la pensava così. Era un capovolgimento completo di come tutto il sistema avrebbe funzionato”.
All’epoca, gli sviluppatori che volevano vendere il software attraverso canali fisici di vendita al dettaglio dovevano pagare per arrivare sugli scaffali dei negozi. Questa spesa, poteva costare fino al 50% del prezzo al dettaglio. Anche i mercati digitali come il predecessore dell’App Store, Handango, hanno addebitato agli sviluppatori una commissione del 40%, eliminando potenzialmente i piccoli sviluppatori.
Schiller, conclude sottolineando nuovamente come il sistema di pagamento centralizzato di Apple sia più sicuro e conveniente per i clienti.
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