In passato molte aziende hanno provato a vendere musica in streaming, ma per un motivo o per l’altro, moltissimi servizi sono stati costretti alla chiusura ed alcune aziende che si erano concentrate solo su questo business sono state addirittura chiuse. Cosa c’è quindi di sbagliato nella logica del vendere musica in streaming? Si può avere successo in questo modo?
Apple ha lanciato il suo iTunes in un periodo di grande crisi per il mercato della musica. Grazie alla piattaforma innovativa lanciata da Apple (ricordiamo che prima di iTunes non esisteva ancora il concetto di download legale di musica da internet), il mercato musicale è riuscito a risollevarsi e a rinnovarsi.
iTunes, anche se in maniera difficoltosa, è riuscito a mettere d’accordo le grandi etichette discografiche ed Apple per poter fornire un servizio di download musicale completo, anche se chiuso (ricordiamo i DRM presenti fino a pochi anni fa). La combinazione di iTunes ed iPod ha fatto sì che sia il servizio che il dispositivo riscuotessero un grande successo: infatti la mancanza di uno avrebbe implicato una sorta di fallimento dell’altro.
Le cose sono poi successivamente iniziate a cambiare: sono nati nuovi servizi provenienti da altre importanti aziende, ma uno ad uno sono stati chiusi o ridimensionati sia a causa dei costi più elevati, sia per la disponibilità dei brani più modesta. Apple, con il suo iTunes, aveva quindi il monopolio del mercato musicale.
Con la nascita di dispositivi multimediali avanzati e sistemi operativi aperti ad applicazioni di terze parti sono nati però molti servizi in grado di offrire musica in streaming in seguito di una sottoscrizione di un abbonamento. Questa logica della musica in streaming non ha però ancora convinto molti utenti, infatti molti si chiedono: “Perché dovrei pagare un abbonamento mensile per ascoltare la musica quando posso acquistarmi il singolo brano o l’intero album per poi ascoltarlo ogniqualvolta voglio?“.
Ebbene, questo ragionamento può filare, l’ho fatto anch’io: “Metti che poi l’azienda fallisce e io non ho più nemmeno un brano. Se li avessi acquistati mi sarebbero rimasti nella libreria multimediale a mia completa disposizione“.
La verità è però che acquistando un brano o un album, mediamente i costi salgono ed a fine mese avremo speso di più rispetto all’abbonamento che ci ha proposto il servizio di musica in streaming. L’azienda che offre il servizio chiude i battenti? Potremo sempre rimediare su un altro servizio.
Ma tornando al succo del discorso, ovvero: “Si può avere successo vendendo musica in streaming?“, una risposta condivisa da tutti non esiste ovviamente, ma possiamo basarci sulle vicende passate.
I più importanti fornitori di musica in streaming sono al momento Pandora e Spotify: i due servizi sono ampiamente utilizzati ed entrambi sono molto apprezzati. Negli ultimi tempi però Pandora lamenta di guadagni troppo bassi rispetto al servizio offerto.
Il CEO di Pandora dichiara infatti che le commissioni richieste dalle case discografiche sono troppo elevate e quindi circa il 60% del ricavato degli abbonamenti va a ripagare queste commissioni (Spotify dichiara invece una percentuale più alta per il suo servizio: il 70%). Certo, si possono studiare altre strategie per aumentare la monetizzazione, ma il punto è proprio questo: le altre aziende sono proprio fallite comportandosi in questo modo.
Se Pandora e Spotify sono servizi così apprezzati è proprio perché a fronte di un abbonamento mensile dal costo contenuto, potremo ascoltare tutta la musica che vorremo senza interruzioni pubblicitarie, lunghe attese o difficoltà nel reperire i brani musicali. Se solo una di queste caratteristiche venisse a mancare, l’utilizzo dei servizi rischierebbe di venire compromesso inevitabilmente.
Come sappiamo anche Google, Apple ed altri grandi marchi hanno intenzione di creare un proprio servizio di streaming musicale, quindi potremmo affermare che il successo si può ottenere, ma bisogna trovare il giusto compromesso tra qualità e monetizzazione. Ciò che dovrebbero diminuire sono quindi le commissioni per le case discografiche e non l’aumento della pubblicità all’interno dei servizi.
Forse le case discografiche dovrebbero ricordarsi che è proprio grazie ad un servizio innovativo che l’industria musicale è potuta rialzarsi. Esse stanno quindi giocando col fuoco: lo streaming potrebbe essere il futuro ed una guerra non gioverebbe a nessuno. Una collaborazione come quella tra iPod ed iTunes sarebbe invece più indicata.
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